
Sono Gio Franco (voce e basso), Davide Novallet (chitarre e cori), Antonio Monaco (batteria e percussioni) e Daniele Maresca (piano, synth e cori). Sono i PoST acronimo di I Proud of Serving Tuna che giungono ad un nuovo disco per Reverse Rivers Music dal titolo “Ten Little Indies”. Distopico si se pensiamo che al primo impatto è quel senso new-wave che viene fuori, industriale ma mai risolto. Di sicuro il pop e i suoi stilemi sono dietro l’angolo se anche diamo retta all’unica traccia in italiano presente nella tracklist. Di sicuro è un disco dall’ascolto non immediato, affascinante nelle sue tracce dense di mistero… ecco: mi sembra un disco denso di mistero, con questo suono dal colore “grigio” tenue, industriale, mai aperto a nuove energie vitali.
Rinascere musicalmente significa anche perdere una parte di sé? La ricostruzione della band significa anche rinascita di un suono?
In effetti, prima di ricostituirci come quartetto, questo percorso è iniziato proprio quando Gigi Laurino, precedente bassista e amico, ha dovuto salutarci: questa mancanza importante, non solo dal punto di vista musicale, ci ha segnato e, in seguito, dato opportunità di pensare ad una nuova vita della band. Il fattore temporale ha giocato un ruolo fondamentale, senza avere la pressione di produrre nuovo materiale, ma anzi valutare diverse strade sonore prima di imboccare quella che volevamo.
L’incontro con Daniele Maresca: e da qui che suono è venuto fuori?
Dopo l’abbandono della formazione (non per divergenze) da parte di Gigi, rimasti orfani del suo suono di basso molto elaborato, eravamo in grossa difficoltà. Daniele, portando i suoi sintetizzatori ed il piano, ci ha concesso intanto di recuperare gli arrangiamenti dei vecchi brani e poi di aumentare esponenzialmente la palette di suoni a disposizione. Abbiamo incominciato a suonare le chitarre non preoccupandoci pìù di lasciare eventuali buchi, anzi talvolta lasciandole addirittura ferme, in certi passaggi del nuovo materiale.
Il minimalismo nelle chitarre e l’aggiunta di synth e piano mi restituiscono un lavoro di sintesi. E penso sia un centro del nuovo presente dei PoST o sbaglio?
Interessante metafora! Ma è abbastanza centrata, in quanto nel primo periodo in quattro abbiamo letteralmente oziato, nell’accezione romanica del termine, portando ognuno il suo bagaglio musicale, estrapolato e ricombinato in una nuova formula. Hanno prevalso gli arpeggi, gli accordi sospesi, incastri ritmici che provengono da decine di sessioni improvvisate che abbiamo attuato con questo obiettivo. Anche i brani più giovani hanno avuto uno sviluppo simile, seppur accelerato dall’intesa che abbiamo raggiunto.
Quanto c’è di sociale in questo disco? Inevitabile una certa critica o una certa lettura in tal senso…
Sì, tocchiamo anche questo punto. Raggiunte certe età anagrafiche si notano sempre più le increspature ed i cambiamenti sociali, rispetto ai periodi cui si era cresciuti: rifiuto od accoglienza, dipende. Anche se abbiamo osservato diversi tipi di declino. Ne parliamo principalmente in More, ma anche negli altri brani ci sono dinamiche che anni fa avrebbero dato nell’occhio ed oggi sono, sostanzialmente, normali.
C’è una redenzione possibile nelle relazioni umane cantate nell’album?
Abbastanza. In fondo, i dieci “indies” fanno un percorso emotivo, spirituale, mentale nei versi dei brani, che li portano in gran parte ad un arrivo: rassegnazione, perdono, comprensione della propria realtà sono il premio di chi conosce se stesso e ne trae giovamento, anche nelle situazioni peggiori.