13 Settembre 2024

Dopo l’esordio del 2017 intitolato “The Glimpse”, Gli Alberi da Torino tornano con un concept album interessante e con una proposta musicale evocativa e sentita. In questo album abbiamo un’unione tra doom, dark, black metal e rock alternativo. Si potrebbe rimane scettici sul come queste disparate influenze possano coesistere serenamente in un album, ma appena si schiaccia il tasto “play” ogni dubbio viene spazzato via. Certamente il concept presupponeva un album triste e quasi drammatico, e così è. Ma ripercorriamo proprio le tappe di questo concept: “REINHOLD è un concept album che racconta la scalata del Nanga Parbat ad opera dei fratelli Reinhold e Günther Messner.

Il disco ripercorre tutte le tappe dell’impresa – dall’arrivo della spedizione internazionale (Babele), alla determinazione degli uomini durante la scalata (La danza pallida), allo spirito di competizione e rivalità tra i fratelli (Noialtri) e l’incontro con lo Tshemo, più noto come yeti, durante la discesa (Sindrome del terzo uomo). Dopo questo incontro, ricordato in più occasioni dallo stesso Reinhold Messner, abbiamo immaginato un momento di pace (Hiems) prima del crollo e della consapevolezza della tragedia avvenuta (Vuoto alle spalle). Sebbene sia Günther che Reinhold riescano a raggiungere la vetta (Sulla vetta), infatti soltanto quest’ultimo farà ritorno al campo base, iniziando quel percorso che lo trasformerà nel più grande alpinista di tutti i tempi. Com’è noto, purtroppo, Günther Messner morirà invece nell’impresa (Aspettami), dando luogo a una infinita e infamante scia di accuse (poi rivelatesi infondate) proprio ai danni del fratello. Sorda alle tragedie umane, la montagna resta dal canto suo lo stesso immobile gigante di sempre, sia prima (Nanga Parbat I) che dopo la scalata (Nanga Parbat II): un’immagine che abbiamo voluto includere anche come riflessione a margine sulla crisi climatica che stiamo affrontando”.

Ed ecco che l’album prende vita man mano in un susseguirsi di tracce una più bella dell’altra, dove la voce di Arianna Prette dà ancora di più un sapore dolce e amaro a un sound che a mio avviso è stato ottimamente lavorato. Molto lontano da certi standard di oggigiorno che vogliono ogni album uguale all’altro, questo disco grazie ad una produzione molto naturale riesce ad enfatizzare l’animo black e dark di questa band. Si potrebbero scorgere riferimenti al depressive black metal, al dark sound sia italiano che estero, e anche qualche accenno alla scuola alternative rock italiana di artisti come Kina, Marlene Kuntz e Afterhours. Sono molti i momenti in cui la band si distacca quasi totalmente dal metal in senso stretto e abbraccia quindi i terreni più morbidi del rock in senso ampio.

Il lavoro della band nel suo insieme è comunque lodevole. Si sente l’effettiva voglia di non scrivere qualcosa di banale, in ogni reparto strumentale. Della voce ho già parlato, ma ottimi sono i riff di chitarra di Matteo Candeliere e ottima è la prova di Davide Quinto al basso, che si fa sentire anche in fase di rifinitura e arrangiamento. Non è da meno Giovanni Bersani, che è sia batterista che polistrumentista. Un album emozionante e molto naturale, ma che conserva uno spessore sia lirico che musicale che non è facile trovare tutti i giorni nel metal. Consigliato!

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