7 Ottobre 2024

Il titolo mette in scena concetti assai importanti, forse anche delicati per il tempo che stiamo vivendo. Lui è Angelo Iannelli, cantautore romano che approda a “Vicini Margini”, lavoro pulito di modi alla “indie-maniera” per dare una fotografia estetica di sintesi. Tanto spesso ormai non c’è quella ricerca di novità o di personalità nei dischi di nuova generazione, quanto più l’urgenza che, come in questo caso, dentro dinamiche di voce riescono a farci ricordare quei modi grunge di conflitto interiore… o comunque di salvezza e arrivo.

Un nuovo disco che attinge al proprio lato intimo. Ci sono segreti tuoi personali dentro?

Nelle mie canzoni, così come nei miei romanzi, racconto delle storie; non parlo mai di me, ma sicuramente in tutti i miei personaggi c’è una parte della mia interiorità.

Ho molto forte la sensazione che tutto sia ispirato dalla provincia. È un luogo buono per questo suono? Oppure mi sto avventurando dentro letture sbagliate?

In realtà il disco è basato su storie di personaggi che si intersecano, sulle loro vite interiori, poetiche e malinconiche a loro modo. Non ho pensato minimamente alla provincia, ma non esistono letture sbagliate e trovo davvero molto interessante la tua interpretazione: l’arte deve assolutamente prestarsi a più interpretazioni, in caso contrario sarebbe cronaca, non arte. 

Perché la macchina da scrivere in copertina?

Un omaggio alla mia passione per la letteratura e soprattutto un modo per sottolineare quanto questo disco sia una raccolta di racconti che vanno a costituire una trama con un substrato tematico uniforme, ricco di significati talvolta ermetici.

E perché questa grafica di copertina?

Perché il bianco e il nero vanno in antitesi rispetto al significato del margine. I contrasti mi rappresentano molto e soprattutto rappresentano i miei personaggi.

E poi “Elettronica” e poi tutto il resto del disco: sembra un brano diverso, sembrano dischi diversi. Se non fosse per la voce, per la scrittura… perché questa differenza?

L’uniformità di stile tra “Elettronica” e le altre tracce non deve essere ricercata nella somiglianza melodica o nelle scelte strumentali e di arrangiamento.

L’Estetica, la Filosofia dell’arte, ci suggerisce altro. Fermo restando, come giustamente sottolinei, che la tessitura e i colori particolari della voce sono un elemento preponderante nella mia musica, è proprio la scrittura a rendere unico lo stile di un cantautore. E per scrittura intendo sia quella melodico-armonica sia quella dei testi, al di là dell’arrangiamento, ossia dell’abito di un brano, che lascia un po’ il tempo che trova (e non a caso dico “il tempo che trova”, dal momento che i tempi dettano le mode degli arrangiamenti, ma io ho sempre guardato a un’arte metastorica, che vada oltre lo spazio e il tempo, che vada oltre una carriera di successo di tre o quattro anni). Dal punto di vista delle scelte melodiche, armoniche e liriche, il disco è molto omogeneo e un brano come “Elettronica” presenta una grande quantità di ponti di vario tipo con il resto delle tracce. Insomma, la peculiarità della mia musica sta proprio nei rimandi che ci sono tra le varie canzoni, soprattutto nei testi, che restano l’elemento fondamentale e caratterizzante della mia attività artistica. Certo è che tutti questi rimandi vanno cercati, senza rimanere in superficie. E poi vanno trovati. 

Poi ci sarebbe da aprire un altro discorso più generale, anche grazie ai tuoi spunti interessanti, su quanto io ami sperimentare e non ripetermi. L’arte riproducibile non mi interessa, ho assoluta necessità di variare spesso forma e contenuti dei miei lavori, ma sono cambiamenti che riguardano solo un livello più superficiale ed esteriore: nel profondo della forma e dei contenuti, ciò che chiamiamo appunto “stile”, la mia arte è sempre quella, e non solo nella musica: ci sono ponti tra tutte le mie attività artistiche, tra musica e letteratura, tra cinema e musica, e via dicendo. “Il nulla alle spalle”, un mio vecchio mediometraggio che ho scritto e diretto qualche anno fa, ad esempio, parla di morte interiore, di margini, di Dolore e di Nulla; Artur è un personaggio di “Bar Binario”, il mio primo romanzo. E potrei continuare quasi all’infinito… insomma, tra “Comico dell’arte” e “Poema vocale”, che apparentemente sono agli antipodi, c’è uno stretto collegamento, anche metalinguistico, come qualcuno ha fatto argutamente notare.

Spingendomi ancora oltre nella riflessione, credo proprio che continuerò a sperimentare, perché non avrebbe senso fare altre centocinquanta “Come a Hollywood” dal momento che alla gente è piaciuta molto, non sono stipendiato per portare a casa i singoli che piacciono alla gente e che magari piaceranno solo per un paio di anni, come capita al giorno d’oggi, ma continuerò a scrivere e a produrre ciò che piacerà a me, in base al luogo interiore dove mi troverò in un dato momento. Ai ragazzi più giovani di me che iniziano a scrivere, che spesso scambiano un successo effimero con la costruzione di una vera e propria carriera, chiedo sempre: “Vuoi costruire due o tre anni di singoletti tutti uguali, magari copiando qualcun altro, o una vera e propria carriera artistica, al di là del successo di pubblico?”. Spesso sento artisti che dicono di ispirarsi a Tizia o a Caio, magari a cantanti che hanno pubblicato da poco i loro primi lavori e loro stessi non hanno ancora costruito una vera carriera. Ma poi, mi chiedo, che significa “ispirarsi a…”? Bisogna ispirarsi alla vita, e alla “propria” vita. Sono domande che ultimamente leggo spesso: “A chi ti ispiri?”, e il povero malcapitato di turno è obbligato a rispondere con qualche nome di cui magari scopiazza un po’ il timbro di voce. A proposito di domande e cose strane, altre volte sento dire o leggo su qualche giornale, in riferimento a vari cantanti, la definizione “Artista emergente”, utilizzata con il senso di “artista sulla via dell’emersione”, o “sconosciuto o esordiente che diventerà certamente noto a tutto il mondo da qui a poco”. Emergere. Ma poi emergere da cosa? Da chi? Dalla massa? Dal torpore? Come a dire che chi invece non emerge è lasciato morire sott’acqua? Ma lo sappiamo tutti cosa emerge di solito dall’acqua e che poi rimane a galla, o no? 

Insomma, mi sono abbandonato a una sorta di flusso di coscienza, ma mi ha sempre fatto sorridere questa espressione…

Chiudo tornando al discorso di prima, dicendo che non escludo, quindi, che i miei lavori futuri andranno ancora da un’altra parte. Mi correggo: “apparentemente” da un’altra parte.

Non hai pensato di usare l’elettronica in questo modo anche per il resto del lavoro?

C’è molta elettronica nel resto dell’album: i synth e gli altri suoni elettronici si ripresentano e si intersecano dalla prima all’ultima traccia, ma a seconda della canzone cambia l’utilizzo che ne viene fatto, proprio in base alla tipologia del brano.

Sei in tour? Prossime date?

Negli ultimi tempi sono stato molto impegnato nelle riprese di un paio di serie tv e nella scrittura di altri lavori. Spero di avere presto il tempo di dedicarmi ai live.

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